Fette biscottate – 5. Benvenuto a Camelot


Era inevitabile. Tornato a casa, Luca l’aveva trovata vuota. Sul tavolo della cucina c’era una lettera: “Io e Simone andiamo a stare per un po’ di tempo alla Molinella. Ti risparmio la pena di traslocare, so che la questione delle fette biscottate ti sta impegnando tanto ultimamente. Ti faccio chiamare da tuo figlio una volta a settimana, non ti preoccupare”. Non era firmata, non serviva.
Luca si affacciò dal balcone e contemplò l’orizzonte. Aveva sempre amato la splendida vista che gli riservava la sua villa, ma ora gli sembrava di osservare un panorama triste e grigio. Non era una questione economica, con le fette biscottate aveva guadagnato abbastanza da mantenere a vita tutta la famiglia. Era altro. Rovereto non lo avrebbe battuto, la faccenda delle fette biscottate e della marmellata era diventata un fatto personale. Qualcosa che trascendeva il mero commercio, una sfida atavica, come quando, in un branco, due lupi combattono per la posizione di Alfa. Sarebbe stato lui a prendere il comando dell’industria dolciaria, non avrebbe permesso a quel vecchio stramboide di vincere la partita.
Se doveva essere sincero, era contento che Diana e Simone fossero andati altrove, lasciandolo solo a riflettere.
Rientrò e si diresse nel suo studio. Un bel sigaro e un bicchiere di Bourbon lo avrebbero aiutato a pensare. Sprofondato nella sua poltrona, tra ampie volute di fumo e lo stomaco che si lamentava per la pervicacia con cui l’alcol gli bruciava le budella, ripeteva mentalmente le parole del barbone.
Se una cosa non è mai caduta a terra, non bisogna scegliere il verso giusto su cui spalmare la marmellata”.
In quella frase c’era qualcosa che non riusciva a cogliere, un senso sotteso che lo tormentava. Quella notte si svegliò di soprassalto, le parole del senzatetto lo angustiavano anche nei sogni.
All’alba prese il cappotto e scese in strada, non riusciva a riaddormentarsi. Doveva parlare con quell’uomo. Il suo intuito gli suggeriva che era l’unico in grado di aiutarlo, dal momento che Wan Hu risultava ancora scomparso.
Lo trovò sullo stesso marciapiede del giorno precedente, vicino al supermarket.
Il senzatetto, vedendolo arrivare con brioche e latte caldo in un bicchiere di polistirolo bianco, sorrise e disse che lo stava aspettando.
Camminarono tutta la mattina. Luca ebbe modo di raccontare la sua storia dall’inizio alla fine: la ricerca della fetta biscottata perfetta, il successo dell’azienda, la frenata improvvisa dovuta alla partita fallata e alla marmellata ribaltabile. Il clochard lo ascoltò in silenzio e senza mostrare alcuna emozione, sembrava quasi che conoscesse già tutta la vicenda. Quando Luca ebbe finito il suo monologo, gli disse:
«Venga, Luca, voglio mostrarle una cosa».
Lo condusse nei pressi di un sottopassaggio abbandonato. Dopo averlo attraversato, si ritrovarono in una strada dismessa, piena di spazzatura, vecchi elettrodomestici abbandonati e reti metalliche arrugginite. Alla fine della strada c’era una gigantesca vasca di cemento. Doveva essere stata una cisterna di purificazione, ma ora ospitava decine di senzatetto.
«Benvenuto a Camelot» disse il vecchio.
«Che posto è questo, dove siamo?».
«Non tanto dove, Luca, ma chi. Chi sono queste persone deve chiedersi. O meglio, chi erano».
«Non capisco» disse Dominici sussurrando, «Cosa c’entra questo con il mio problema?».

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